Il mezzo secolo di "Amici miei"

LA CARTOLINA
Di: Augusto Frasca
Si dice,
ed è vero,
che per i capolavori
le stagioni non pesino
e non passino.
E quel film
fu e resta
un capolavoro.
Cinquanta anni. Esatti. Amici miei uscì nelle sale cinematografiche il giorno di Ferragosto del 1975. Si dice, ed è vero, che per i capolavori le stagioni non pesino e non passino. E quel film fu e resta un capolavoro.
Quanti avranno modo o fortuna d’imbattersi nuovamente nella pellicola, o per una visione inedita, troveranno sugli schermi un prodotto d’eccezionale freschezza. Merito degli sceneggiatori, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi e Tullio Pinelli, del regista, Mario Monicelli, maestro tra gli indiscussi della cosiddetta commedia all’italiana, e soprattutto di un’idea nata dall’eclettismo e dalla fantasia di Pietro Germi.

Per un debito morale, e per rispetto storico, il film venne dedicato al suo ideatore, scomparso, appena sessantenne, alla vigilia delle prime riprese dopo aver lasciato alla storia del cinema pellicole indimenticabili quali Il ferroviere, Divorzio all’italiana, Sedotta e abbandonata, Signore e signori. Gli interpreti, di prima scelta, tutti beniamini del cinema italiano e non solo: Ugo Tognazzi, Gastone Moschin, Duilio Del Prete, Adolfo Celi, con l’aggiunta di Philippe Noiret, Bernard Blier, nelle vesti, a seguire, di un nobile squattrinato, di un architetto innamorato, di un commerciante, di un primario clinico, di un giornalista e di un pensionato.
La presenza nella pellicola di due tra i più affermanti attori francesi ne garantì il successo anche oltr’Alpe. L’ambientazione iniziale era stata prevista a Bologna, ma Monicelli preferì traferirla in Toscana, a Firenze e in località circostanti, ritenendo lo spirito locale, disincantato o dissacrante secondo tempi e situazioni, più adatto all’ironia e al sarcasmo che animano i personaggi del film.
L
a storia è semplice: quattro amici attempati, cui si aggiungerà ben presto un quinto, uniti dalla voglia di ignorare età, intralci familiari e regole sociali, preferendo abbandonarsi all’estro personale e alla burla, talora cattiva, nei confronti del prossimo, con un susseguirsi di trovate comiche sorrette dall’intelligenza del testo, dalla qualità degli interpreti e, talora marcata, da una forte vena malinconica.

Molte trovate della pellicola sono entrate nel gergo comune. Alcune, come la ‘supercazzola brematurata’ pronunziata da un inarrestabile Tognazzi, finanche nei dizionari!