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Longevità e Sostenibilità

Lunga vita

 
 
LA PREVISIONE
 
Negli ultimi tempi
trovare qualche buona notizia
nel ‘’mare magnum’’
dell’informazione,
è diventata impresa ardua.
 
 
Di: Luigi Giovannini
 
Negli ultimi tempi trovare qualche buona notizia nel ‘’mare magnum’’ dell’informazione, che quotidianamente ci inonda attraverso tutti i canali-media, che la tecnologia mette a disposizione è diventata impresa ardua. Una di queste scaturisce dalla pubblicazione dei dati Eurostat sugli indicatori di sviluppo e benessere in ambito europeo e si riferisce all’ulteriore miglioramento delle aspettative di vita. Più in dettaglio, sulla base dei dati relativi al 2024, si rileva che in Europa la durata media di vita è salita a 81,7 anni, con una crescita di 0,3 anni rispetto all’anno precedente, cosa che consente di annullare l’impatto negativo determinato dalla pandemia di Covid-19.
La selva oscuraIn questo contesto l’Italia conferma di essere tra le nazioni con popolazione più longeva con un’aspettativa di vita di 84 anni e, a conferma della ‘’solidità‘’ del dato, si rileva anche un aumento dell’aspettativa di vita in buone condizioni di salute dopo i 65 anni. Risultati e traguardi demografici che normalmente tutti noi consideriamo quasi normali, ma che in realtà sono di grande valore se si pensa che poco più di un secolo e mezzo fa l’aspettativa di vita ruotava ancora intorno ai 35/40 anni. E a questo riguardo viene spontaneo pensare a Dante Alighieri, che iniziò a scrivere la Commedia nell’intorno del 1300 all’età di 35 anni con il famoso incipit: ‘’Nel mezzo del cammin di nostra vita.’’. Il sommo poeta pensava in cuor suo di poter raggiungere i 70 anni; traguardo che all’epoca era raggiungibile da pochissime persone, e infatti, per sfortuna sua (e anche nostra) dovette arrendersi alla dura realtà dopo 56 primavere.
Il processo di innalzamento progressivo delle aspettative di vita, come è noto, è un fenomeno relativamente recente nella storia dell’umanità, iniziato con la riduzione della mortalità infantile (ai tempi dell’Unità d’Italia moriva un neonato su quattro entro il primo anno di vita), e sviluppatosi contestualmente con la diminuzione progressiva di quella giovanile e adulta. Oggi traguardiamo la nostra aspettativa di vita a 85 anni con una probabilità superiore al 90% per un nuovo nato di arrivare a 65 anni.

Come dicevamo all’inizio questo è indubbiamente un bel ‘’pacchetto’’ di buone notizie, che si caratterizzano per la loro naturaWelfare Mano prevalentemente ‘’quantitativa’’. Ciò che rende il fenomeno meno roseo è l’aspetto ‘’qualitativo’’ del dato statistico, soprattutto se analizzato in chiave di prospettive future legate alle tendenze demografiche, all’evoluzione del welfare e della sua sostenibilità socio-economica. In sintesi, dopo aver preso atto con soddisfazione del ‘’quanto’’ siamo invecchiati, dobbiamo interrogarci sul ‘’come‘’ stiamo invecchiando e soprattutto sul ‘’come‘’ invecchieremo. E qui finiscono le buone notizie, o perlomeno rischiano di finire se non riusciremo a mettere in campo strumenti e misure adeguate.

 
Le cattive notizie iniziano con alcuni segnali negativi ormai consolidati che evidenziano, da una parte, lo stato di difficoltà del nostro welfare e, dall’altro, lo scenario dell’andamento Logo Istatdemografico. A rendere la situazione più complessa vi è la constatazione che i due fenomeni sono anche in parte correlati tra loro da significative relazioni di causa/effetto: minori coperture assistenziali e previdenziali rendono più difficoltosa ed onerosa la gestione familiare e quindi scoraggiano la natalità, che a sua volta riduce in prospettiva la forza lavoro, che è la base della piramide demografica su cui si è retto e si regge il sistema previdenziale: tanti giovani e pochi anziani. Ma la sfida del vivere a lungo e bene ci è comunque addosso; ci siamo dentro fino al collo: tutti gli scenari ISTAT prevedono un incremento ed unaFuturo prevalenza della classe di età intorno ai 75 anni.
Da una parte non possiamo quindi che prendere atto di questo aspetto quantitativo dell’andamento demografico (peraltro siamo in buona compagnia: secondo stime ONU entro il 2050 l’Unione Europea perderà il 15% delle persone in età 25-49 anni, il Giappone il 20%, la Corea del Sud il 40%, gli USA compenseranno solo con l'immigrazione), dall’altra dobbiamo avere consapevolezza che potremo fare la differenza non su quanti anziani avremo, ma su come sarà la qualità di vita a quell’età.
Se in futuro buona parte dei 75enni sarà attiva, in salute e comunque adeguatamente assistita vuol dire che avremo vinto la sfida della longevità sostenibile. Viceversa potranno beneficiare di una vecchiaia serena soltanto le persone anziane benestanti e i giovani che nel frattempo saranno emigrati all’estero.
Viaggiare insiemeSulle strade da percorrere per evitare questo rischio c’è una discreta convergenza degli analisti, come risulta dai più recenti studi dell’OCSE (giugno 2025), dell’Asvis (Alleanza per lo sviluppo sostenibile - Marzo 2025), Inapp (istituto Nazionale per le Analisi delle Politiche Pubbliche), IPSOS e naturalmente l’ISTAT. Anzitutto occorre un radicale cambiamento nell’approccio al problema, una vera ‘’rivoluzione copernicana’’ che partendo dal presupposto che l’allungamento della durata della vita umana è indiscutibilmente un aspetto positivo della nostra esistenza, questo ci porti a considerare la longevità non come un peso per la società, bensì come un’opportunità da cogliere. Significa considerare che a 50-55 anni non si ritiene praticamente chiuso il ciclo di vita attiva, ma che si apre un orizzonte di altri 30-35 anni di speranza di vita attesa, praticamente una seconda vita.
Occorre prima di tutto dare a questa nuova fase contenuti, formazione e istruzione atti a rendere le persone in grado di continuare ad essere pro-attivi, al passo con i tempi invece che sentirsi ‘’psicologicamente obsoleti’’. È evidente quanto questo aspetto sia importante in periodi di rapido progresso tecnologico, come quelli che stiamo vivendo.
Un altro aspetto rilevante ai fini della stabilizzazione della base demografica e della forza lavoro riguarda, dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo, il lavoro delle donne: nella fascia di età 25-29 anni l’occupazione lavorativa femminile in Italia è del 56,50%, mentre la media europea è del 73,50%. I margini di miglioramento sono evidenti, con altrettanto evidenti risvolti positivi sul reddito famigliare e quindi sulle premesse per un miglioramento del tasso di natalità, che rimane tra i più bassi del mondo.
Un’altra opportunità di miglioramento della sostenibilità del nostro welfare riguarda l’occupazione giovanile e, più in generale, la scarsa ‘’attrattività‘’ che il nostro paese esercita verso le giovani generazioni in cerca di lavoro.
In uno studio dell’IPSOS (luglio 2025) nella classe di età 18-34 anni oltre la metà degli intervistati ha dichiarato di prendere in considerazione la possibilità di andare all’estero, poiché vedono altrove maggiori possibilità di lavoro e di realizzazione dei propri progetti di vita. Anche qui abbiamo ampi margini di miglioramento.
Infine, last but not least, l’immigrazione. Piaccia o no ne abbiamo e ne avremo sempre più bisogno per compensare la progressiva carenza di forza lavoro e per rafforzare la base della piramide demografica, che sostiene il sistema previdenziale e assistenziale. Chiedere alle nostre imprese per avere conferma.
Pianificare, formare, ed integrare i flussi di immigrazione sarà (e in larga misura lo è già adesso) un‘altra sfida a trasformare un grosso problema in una grande opportunità.
…Come l’aumento delle aspettative di vita...

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