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Voci del '900 - "Quelle voci perdute per sempre"


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LA RUBRICA
 
Gli anziani, spesso ricoverati,
spaventati e disorientati
nell’ambiente surreale
dei reparti Covid. 
  
In molti casi
voci perdute per sempre,
a loro il nostro pensiero.

 

A cura di: Ferdinando Garetto 

In questa rubrica abbiamo sempre voluto aprire piccoli spazi di memoria sulle grandi voci del secolo scorso. Questa volta il pensiero non può non andare a quella intera generazione che è stata esposta nel modo più drammatico alla pandemia: gli anziani, spesso ricoverati, spaventati e disorientati nell’ambiente surreale dei reparti Covid.
Infermiera Ora la situazione sembra orientata al lento ritorno di una apparente normalità, ma dovremmo a lungo ricordare quei giorni e quelle settimane… A loro dedichiamo queste righe di “Diario Covid-19”, scritte nel mese di maggio quando “la fase acuta” delle Terapie Intensive cominciava a declinare, ma i letti degli ospedali erano tutti occupati da una nuova emergenza socio-sanitaria, quella degli anziani ospiti delle RSA. A loro, autentiche “Voci del ‘900”, che abbiamo tutti, uno a uno, negli occhi e nel cuore, ciascuno con la sua storia personale…
 
La seconda onda dell’emergenza (Ricordi maggio 2020…non un secolo fa!)
 
Dopo le prime settimane in cui tutto era diventata una grande terapia intensiva, negli ospedali la situazione è cambiata profondamente verso fine aprile, nel segno di una diversa urgenza. E così nel reparto c’era la signora Maria, di 89 anni, che urlava. Ma con quell’intuito che è proprio di una medicina “materna”, le infermiere erano riuscite a cogliere le parole di una canzone, e così la risposta non era nelle gocce di Talofen, ma nel cantare con lei. Dalla sua stanza risuonavano le canzoni scaricate su un tablet, con compilation degli anni ’80, perché i 90enni di oggi non cantano solo “Quel mazzolin di fiori”, ma Albano e Romina, Massimo Ranieri... hit che tutti conosciamo e che cantavamo con lei entrando o passando davanti alla sua stanza. O la signora Anna, 96 anni, che muoveva le braccia in modo confuso, apparentemente: ma dopo averla osservata per un po’ era venuto da dirle ad alta voce “nel nome del Padre...” e lei, con il movimento diventato ben coordinato proseguiva con un chiaro segno della croce. La terapia in questo caso era un’Ave Maria, recitata rigorosamente in latino.
 
Piccoli momenti di quotidianità nei reparti Covid, ma la situazione come ben sappiamo tutti era davvero drammatica: era l’onda arrivata dalle RSA, dove il virus si è diffuso in modo esplosivo, e da dove insieme ad anziani spaventati e confusi arrivavano gli echi delle polemiche e dello sgomento. E tanti non ce l’hanno fatta, hanno concluso i loro giorni senza la vicinanza di un familiare, senza il calore di una casa o almeno l’ambiente rassicurante della propria stanza. Si cercava di supplire con una videochiamata, con le notizie quotidiane ai parenti… E così spesso le “infinite storie personali” prendevano contorni più definiti: erano genitori, nonni, erano stati operai, ingegneri, professori universitari, casalinghe, suore, sacerdoti, sindacalisti… Persone che hanno amato, vissuto, lottato, sperato, sofferto; che nella vita hanno vinto e hanno perso, come tutti… Talora c’era una pre-esistente demenza, ma curata con dignità per mantenere lampi di vita… altre volte il tracollo è stato quello del ricovero in urgenza, l’allontanamento, la perdita di riferimenti… E noi operatori, mascherati e vestiti con anonime divise, ci siamo trovati ad essere l’ultima esperienza di umanità, l’ultimo sguardo ad incrociare i loro occhi. E li abbiamo tutti, uno a uno negli occhi e nel cuore…
 
Prima della tempesta (La “normalità” del XXI secolo…)
 
Proviamo allora a fare il punto… Solo in Piemonte ci sono circa 800 RSA, Residenze Socio Assistenziali per malati non-autosufficienti. Una 
Casa Riposopresenza capillare sul territorio. A volte piccole strutture “a misura d’uomo” in paesini di montagna a cui gli anziani guardano con la familiarità di sapere che potrà esserci un luogo che li accoglierà vicino a casa, nel momento del bisogno; in molti altri casi, strutture enormi, con centinaia di ospiti, emblema della solitudine disumanizzante dei grandi centri urbani. 
 
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