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I Quadretti - La toccante esperienza di un insegnante in carcere...

Gianni Romeo

 
IL QUADRETTO
 
Di: Gianni Romeo
 
Corrado,
professore di educazione fisica,
per vent’anni ha portato
energia e vita fra i detenuti.
 
Memorabile un torneo di calcio,
che mise di fronte
il papà e il figlio studente:
non si vedevano da anni.
 
Ora, al momento della pensione,
esita a varcare
il confine della prigione.  
 
Aveva passato vent’anni della sua vita in carcere. Gli anni migliori, direbbe chi seziona l’esistenza a fette come una torta: dai 30 ai 50, un mix di gioventù e maturità. Poi, all’ora di andarsene, Corrado ha detto: no, resto qui. Che ci faceva in prigione, era un detenuto speciale? A questo punto la storia va raccontata dall’inizio, quando un giovane di buona famiglia, appunto Corrado, radici a Fossano, nel Cuneese, viene indirizzato dalla tradizione paterna alle cose sportive. Studi a Roma, Istituto Superiore di Educazione Fisica, la famosa Farnesina, diploma di <maestro di sport>. 
 ISEF Roma
Poi, di fronte alle opzioni che gli offre la carriera di educatore sportivo, la scelta audace: vado a insegnare ai carcerati. L’idea di quella missione, se vogliamo usare una parola grossa ma neanche troppo, era germogliata nel tempo quando Corrado, studente alla scuola media Verga di Torino, via Cigna, aveva incontrato un preside, Martelli, che ancora oggi definisce <illuminato>.
Il mantra del maestro continuava a ronzargli in testa: nella vita bisogna dare, prima di ricevere.
Per lui, nella seconda metà degli Anni Novanta, suona l’ora della scelta. L’idea dell’insegnante <sportivo> in carcere è sperimentale. Il <prof> deve inventarsi tutto.
 
Un rebus nella sezione femminile con le donne ammassate alle carceri <Nuove>, termine che suona da presa in giro. Non esistono spazi esterni, bisogna adattarsi a celle buie, inospitali. Altro che giocare a pallavolo, come progettava il giovane insegnante… Che si fa? Sono donne piene di problemi, guai annoiarle, altrimenti arriva puntuale un eloquente <prof, ci hai rotto…>. Corrado si aggrappa a un libro dietetico, vanno bene anche le barzellette, qualche esercizio di respirazione. Funziona. Invece alle Vallette, carcere Lorusso e Cutugno, con gli uomini è più facile: gli spazi ci sono, l’attività motoria è una medicina, Corrado poco alla volta si conquista simpatia e anche stima.

Ha mano li
bera, s’inventa un torneo di calcio interno fra le sezioni, fare l’arbitro è un lavoraccio, la violenza è dietro l’angolo, bisogna essere severi il giusto per avere rispetto. Il torneo cresce. Forse caso unico in Italia a quel tempo, Corrado mette in piedi un’iniziativa che trova sponde dentro e fuori. <Un pallone di speranza>, il titolo.
Squadre di 8 giocatori che coinvolgono 18 istituti scolastici torinesi e 8 formazioni delle Vallette. Ne parlano i giornali, va ad arbitrare persino il fischietto internazionale Alfredo Trentalange. E un giorno Corrado raccoglie la semina: una partita mette di fronte il papà carcerato con il figlio, studente all’Avogadro. Non si vedevano da anni! Qualcuno spiffera la vicenda, arrivano gli operatori di Telepiù, va in onda un commovente filmato…
 
Ma c’è anche la vita quotidiana. Difficoltà, pressioni, richieste di favori? Molte, ma bisogna saper dire di no, oppure di sì per quel poco che si può. Una telefonata a casa per suggerire una bugia alla moglie, dica a suo figlio che papà è all’estero per lavoro ma torna fra dieci giorni (avrà un permesso di buona condotta, Corrado l’ha saputo); a richiesta le tasche piene di francobolli, le cose normali sono le più difficili da risolvere per i detenuti, anche soltanto una sigaretta, una lettera da dettare a casa … E poi far lavorare la mente, inventarsi sempre qualcosa. <Sono come gli ammalati, dice, mai fargli perder il contatto con la realtà, ricordargli che prima o poi guariscono, verranno dimessi. Si aggrappano alla figura dell’insegnante come il paziente al medico. Ho cercato di curarli come potevo e ho subito il contagio. E al momento della pensione ho pensato di andare avanti ancora un po’ come volontario>.
 
Quasi 200 anni fa Silvio Pellico, scrittore e patriota dell’Italia nascente, aveva pagato salati i suoi eroismi raccontandoli poi con una storia forte e drammatica, <Le mie prigioni>.
La prigione di Corrado invece è stata un’iniezione per la vita.
 

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