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Historia se repetit - La peste "nera"

Copertina Trattato Peste

 
 
  
IL PASSATO
 
 
La grande pestilenza
di Torino del 1630.
 
Molte similitudini
con la situazione attuale,
la storia si ripete.
 
Di: Alessandro Comandone
Oncologia ASL Città di Torino
e Accademia di Medicina.
 
Quando giovane liceale e poi universitario prendevo l’autobus cha da Torino mi riportava a Pianezza, entravo in una via poco illuminata, stretta, a fianco di porta Palazzo. La via era via Fiochetto e già allora mi incuriosiva la lastra stradale che sintetizzava:
Giovanni Francesco Fiochetto 1564 - 1642 Protomedico.
Allora internet non c’era e faticai alquanto nelle biblioteche cittadine ad acquisire notizie su questo Carneade, contemporaneo proprio di Don Abbondio. Oggi con il web a disposizione e con il “resta a casa” per la pandemia da COVID 19 tutto diventa più facile. E così, sperando di non annoiarvi, vi racconterò della grande pestilenza di Torino del 1630-1632 trovando molte similitudini con la situazione attuale.
 
L’argomento non è inesplorato: ne scrisse lo stesso Fiochetto con orgoglio, ne riscrisse il Dr. Gualino su Minerva Medica nel 1930, ne ha scritto a lungo in un dotto libro la Dr.ssa Reineri e per mia sfortuna un certo Manzoni, ma per gli episodi che avvennero al di là del Ticino. Io mi limiterò a riportare in breve quanto avvenne nella nostra città in quei terribili mesi.
Sappiamo da Manzoni che l’epidemia in Lombardia fu portata dai Lanzichenecchi che scendevano dai Grigioni per assediare Mantova. Il Piemonte sud orientale fu certamente investito da tale ondata di contagi.
Forse diversa fu l’origine del contagio in Val Di Susa (Bussoleno fu praticamente sterminata dal morbo) e a Torino. Infatti Luigi XIII voleva egli stesso, ma con propositi opposti al Wallestein arrivare a Mantova, ma i Sabaudi gli si opposero. Furono però sconfitti al Monginevro e a Chiomonte e i Francesi arrivarono a Susa. Ma intanto a Lione era scoppiata la peste.
Carro appestatiIl fatto che il caso zero di Torino fu o si presunse fosse un soldato francese finito miseramente come vedremo, fa presumere che nella Capitale del ducato il morbo arrivasse dalla Francia.
A Torino il dottor Durando segnalò un episodio sospetto sin da gennaio 1629 con la morte di una miseranda donna in borgo Dora con “tacchi su tutto il corpo”. È vero che allora la diagnosi era solo ispettiva e che molte malattie si manifestavano con eruzioni cutanee: la peste, il tifo petecchiale, la sifilide, il morbillo. Fatto ne sia che Durando fu ritenuto un allarmista agitatore di folle e rimase inascoltato.
Questa storia non assomiglia molto a quella del dottore di Wuhan Li Wenhiang? Le persone avvedute scambiate per tristi Cassandre.
 
Ricordo che Torino era stata flagellata dalla peste del 1599, mentre si era salvata dalle epidemie ferali del 1566 e 1577 (peste di San Carlo) tant’è che poteva superbamente affermare prima del 1630 “Taurino, fere unico, quasi sole, volentibus superis intacta et illaeso”.
Medico pesteNon sembra di ricordare l’orgogliosa sicurezza degli Inglesi prima che il COVID facesse strage anche da loro?
L’epidemia scoppia il 2 gennaio 1630, la prima vittima è un calzolaio Franceschino Lupo (la morbosa ricerca anche odierna di chi è il caso zero, quasi servisse a qualcosa). Si cerca il colpevole.
Siamo lontanissimi da Pasteur che identificherà i batteri e da Yersin che riconoscerà l’agente della peste e mille ipotesi vennero perseguite. Un Alessandro più bravo di me ha scritto pagine indimenticabili sull’argomento in due romanzi: cause astrali, effluvi mefitici, castigo di Dio, ma soprattutto la presenza degli untori. Anche a Torino la caccia all’untore diventa un’occupazione quotidiana condita di inaudita crudeltà. 
La prima arrestata fu una povera minorata mentale, tal Margherita Tasellina che si salvò dal rogo denunciando i suoi genitori e un soldato francese che si era “unito carnalmente a lei”. Il povero straniero, devastato effettivamente dalla malattia venne portato in Piazza Castello, “archibugiato” e ancora moribondo dato alle fiamme.
La madre di Margherita morì di peste in carcere, mentre il padre che resistette agli “esquisiti tormenti” non confessando nulla sotto tortura, venne liberato. Anche Margherita sopravvisse perché graziata per i servigi resi alla “giustizia”. Anche i casi zero della nostra epidemia hanno analogie con questa storia: per settimane si è parlato del cittadino tedesco che dopo rapporto intimo con una donna cinese è venuto in Italia (si ripete il binomio sesso-straniero).
Le torture non sono più fisiche, per fortuna, ma forse più raffinate: inchieste televisive, interviste al caso zero, xenofobia anti germanica o paura dell’immigrato.
 

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